LE  SUPERNOVAE

Si ritiene che in una galassia ci sia una supernova, cioè l'esplosione catastrofica di una stella di grande massa, circa due volte in un secolo. L'ultima supernova nella nostra galassia visibile dalla Terra fu osservata nel 1604, cinque anni prima che il telescopio cominciasse a scrutare il cielo. Siccome però con i grossi telescopi si riescono a vedere dalla Terra migliaia di galassie, in media ci si aspetta di osservare una supernova ogni pochi mesi. Ci sono così astronomi in osservatori di tutto il mondo che scrutano il cielo attenti alla comparsa di tali esplosioni stellari nelle galassie lontane, esplosioni che per alcune settimane possono superare in luminosità tutti gli altri miliardi di stelle della galassia alla quale appartengono.
La prima, e anche la più luminosa supernova osservata in una galassia esterna, fu visibile a cominciare dal 1885. Nell'agosto di quell'anno apparve improvvisamente una nuova stella nella zona centrale della galassia vicina alla nostra, la Grande Nebulosa in Andromeda. La stella aumentò rapidamente la propria luminosità fino a che raggiunse la settima grandezza. A quel tempo non si sapeva ancora se la Nebulosa di Andromeda e le altre nebulose simili fossero oggetti appartenenti alla nostra galassia o sistemi di stelle al di fuori di essa. Le nove ordinarie, esplosioni stellari abbastanza comuni nelle quali una stella aumenta la propria luminosità di un fattore che può essere 10.000, erano ben note nel 1885, per cui si suppose che la nuova stella nella Nebulosa di Andromeda fosse una nova ordinaria e in base a ciò si dedusse una stima della distanza della nebulosa, la quale veniva così a porsi decisamente entro i confini della nostra galassia.
Il lavoro del 1920 di Edwin P. Hubble sulle stelle variabili nella Nebulosa di Andromeda e in altre nebulose a spirale dimostrò che tali sistemi sono a grande distanza dalla nostra galassia: solo allora si riconobbe la vera natura delle nuove stelle osservate in quei sistemi. Una volta  scoperto che la distanza della Nebulosa di Andromeda non era solo dell'ordine delle migliaia di anni luce, ma dell'ordine delle centinaia di migliaia, fu evidente la straordinaria luminosità della supernova del 1885: essa era arrivata a essere non 10.000 volte più luminosa di una stella ordinaria, ma addirittura 10 miliardi di volte.
Queste meraviglie del cielo sono oggetto di attento studio sin dagli anni Trenta, quando Fritz Zwicky all'osservatorio di Monte Wilson cominciò a classificarle, dividendole in due gruppi distinti. Le più comuni, che sono dette di Tipo I, possono raggiungere una magnitudine assoluta di -18 o -19 e poi decadono abbastanza velocemente dopo l'esplosione. Se una di esse dovesse comparire alla distanza di Vega, uguaglierebbe la luminosità di un centinaio di Lune Piene. Le supernove di Tipo I presentano spettri particolari, la cui caratteristica fondamentale è la totale assenza delle righe dell'idrogeno. Le velocità di espansione dei resti nebulari si misurano dalle righe P Cygni e toccano i 10.000 Km/s, il 3% della velocità della luce. Gli eventi di Tipo II, di circa due magnitudini più deboli, in genere mostrano un plateau nella loro curva di luce, cioè si stabilizzano per qualche tempo su luminosità costanti, e inoltre presentano le righe dell'idrogeno; le velocità di espansione sono circa la metà di quelle delle supernove di Tipo I.
Le regioni d'origine dei due tipi di supernove sono differenti. Gli eventi di Tipo I
si producono nei dischi galattici, dove risiede la maggioranza delle stelle, ma anche nelle galassie ellittiche e nei rigonfiamenti centrali o negli aloni di quelle spirali, il che fa pensare che li si debba attribuire a stelle di piccola massa. Invece le esplosioni di Tipo II restano confinate ai dischi galattici e ai bracci delle galassie spirali, i soli posti in cui si trovano stelle molto massicce. Se consideriamo i fenomeni più in dettaglio, ci troviamo nella necessità di aggiungere alla classificazione nuovi tipi e sottotipi. La suddivisione più importante è quella che riguarda il Tipo I, che si scinde nel Ia, la classe originariamente definita da Zwicky, e nel Ib, nel quale rientrano le supernove che, pur verificandosi nei bracci galattici, tuttavia non presentano nei loro spettri le righe dell'idrogeno.
Il lavoro di una generazione di astronomi e di fisici, ha finalmente consentito di comprendere in che modo detonano queste bombe stellari. L'esplosione di Tipo II è la fine naturale di una stella massiccia. Con il procedere delle reazioni nucleari, i nuclei atomici delle regioni centrali della stella sono sempre più compressi tra loro. Ciascuno stadio successivo della fusione nucleare può fornire una quantità di energia sempre minore, e di conseguenza dura per un tempo sempre più breve. Occorre circa un milione di anni perchè l'elio di una supergigante rossa di 20 masse solari fonda in carbonio, e meno di 100.000 anni perchè si concluda la fusione del carbonio in neon e magnesio. Quando anche il carbonio finisce, il nucleo riprende a contrarsi e si riscalda fino a che inizia a fondere anche l'ossigeno, che si trasforma in silicio e zolfo: questa fase dura meno di 20 anni! A questo punto, nel corso di una sola settimana, il silicio si trasforma in ferro. La temperatura supera 3 x 10 K e ora le reazioni generano energia sotto forma più di neutrini che di fotoni. L'interno della supergigante è strutturato a gusci, come una cipolla, poichè ciascuno stadio della fusione nucleare si sposta all'infuori in gusci successivi che circondano un nucleo di ferro di circa 1,4 masse solari.
Fra tutti i nuclei atomici, quello del ferro è il più stabilmente legato. Non si può ottenere energia dalla sua fusione. Quando la fase della fusione del silicio giunge alla fine, il nucleo, che ha circa le dimensioni della Terra, si trova nei pressi del limite di Chandrasekhar e per breve tempo viene sostenuto dagli elettroni degeneri. A questo punto, i nuclei di ferro subiscono il primo attacco. La densità è così elevata che  gli elettroni incominciano a combinarsi con essi, per formare manganese; il calore che si sviluppa è così intenso da produrre raggi gamma estremamente energetici, capaci di penetrare nei nuclei di manganese e di scinderli in nuclei di elio. Man mano che viene meno il sostegno fornito sia dalla degenerazione degli elettroni che dalla pressione dei raggi gamma, il nucleo si contrae sempre più velocemente e finisce per collassare in modo catastrofico. La stella ha vissuto 10 milioni di anni, eppure in meno di un decimo di secondo il nucleo di ferro crolla su se stesso, con una velocità pari a un quarto di quella della luce, fino a diventare una sfera del diametro di soli 100 km. L'energia gravitazionale rilasciata è al di là di ogni immaginazione. In quel battito di ciglia la stella dissipa 1046 J, più del 99% dei quali sotto forma di neutrini.
L'energia emessa è 100 volte maggiore di quella che il Sole ha speso nel corso della sua intera esistenza.

La densità al centro della stella è ora così grande che i protoni e gli elettroni del nucleo incominciano a incollarsi l'uno all'altro generando neutroni che si condensano in una sfera del diametro finale di 10 o 20 km. La temperatura centrale inizialmente può aggirarsi intorno a 2 x 1011 K. L'improvvisa implosione del nucleo genera un'onda d'urto che rimbalza verso l'esterno. L'inviluppo è così denso che persino i neutrini, normalmente capaci di filtrare attraverso una muraglia di piombo spessa 1 a.l., hanno difficoltà a emergere: essi esercitano così una pressione che, aggiungendosi a quella dell'onda d'urto, "soffia via" il resto della stella. Permane solo il nucleo centrale, una stella collassata sostenuta dalla pressione dei neutroni degeneri.
Nella furia  nucleare che devasta l'inviluppo si crea un gran numero di neutroni che rapidamente si legano l'un l'altro dando origine a isotopi altamente radioattivi. Questo processo-r (r sta per rapido) può produrre isotopi molto più pesanti di quelli generati dal processo-s che ha luogo dentro le giganti. Diverse masse solari di materiale stellare, arricchito di elementi pesanti che la stella ha creato sia nella fase di supergigante che nell'esplosione di supernova, vengono rilasciate all'improvviso alla velocità di migliaia di chilometro al secondo e restituite allo spazio interstellare. Si produce un guscio nebulare in espansione.
E che cosa si può dire delle ancor più brillanti supernove di Tipo I? Poichè esse compaiono nei vecchi aloni galattici, non possono essere causate da stelle massicce.
Si pensa, piuttosto, che questi eventi rappresentino l'atto finale dell'evoluzione di nane bianche appartenenti a sistemi binari. Ci sono due possibilità. Una nova ordinaria si verifica quando una compagna di sequenza principale, deformata dalle forze di marea, perde materia che va a finire sulla superficie di una nana bianca dove, accumulandosi, innesca un'esplosione seguita da un ritorno alla normalità. Se però la stella collassata è prossima al limite di Chandrasekar, è possibile che, prima che avvenga l'esplosione superficiale, l'accumulo di massa del gas in caduta porti la stella sopra quel limite. A questo punto la pressione di degenerazione non è più sufficiente per sostenere il peso dell'astro, la nana bianca collassa e una reazione di fusione esplosiva si innesca nell'intero corpo stellare. All'esplosione non sopravviverà nè un nucleo di ferro nè un nucleo di neutroni: la stella letteralmente si annichila.
L'altra possibilità riguarda un sistema binario di due nane bianche. Le due stelle si erano già trovate vicine quando, nel corso dell'evoluzione, avevano raggiunto la fase di gigante rossa: l'inviluppo dilatato dell'una giungeva a toccare l'inviluppo dell'altra. Ora le due nane bianche vicine orbitando emetteranno onde gravitazionali, che sono perturbazioni dei rispettivi campi gravitazionali che si propagano allontanandosi dal sistema( le onde gravitazionali, predette dalla teoria della relatività, finora non sono mai state osservate direttamente). Questa emissione è causa di una perdita di energia che porta le due stelle ad avvicinarsi sempre di più, con un moto d'avvicinamento a spirale. Alla fine, per effetto delle interazioni mareali, le due stelle si fondono in una, superano il limite di Chandrasekhar e -come nel primo modello- esplodono. Si pensa che sia la stella di Tycho che quella di Keplero fossero supernove di Tipo I.
Le supernove sono responsabili della sintesi degli elementi al di sopra dell'elio e sono le uniche macchine creatrici di elementi pesanti che esistano nell'Universo.

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